lunedì 25 gennaio 2016

PER RIMANERE SEMPRE SUL PEZZO. PER NON DIMENTICARE.

Quello che segue è il racconto di un clan di ‘ndrangheta come ce ne sono tanti, di racconti e di clan. Purtroppo. E’ una delle numerose storie di malavita organizzata che ha caratterizzato (e caratterizza) il nord Italia, costellate da violenza, omertà, ascesa e caduta di famiglie mafiose. Tutto ha però inizio al sud nel caldo clima di Reggio Calabria, in un quartiere da cui è possibile godere della vista del mare dello stretto di Messina: Archi, zona in cui ha sempre comandato l’imponente cosca De Stefano. Tra le diverse famiglie malavitose ad essere loro fedeli, quella che interessa questa storia è una in particolare: i Valle. Decimati dalla sanguinosissima faida conosciuta come la seconda guerra di ‘ndrangheta in cui si contrapposero le famiglie dei De Stefano e degli Imerti, durata circa un decennio tra gli anni Ottanta e Novanta, i Valle scelsero di fuggire da Reggio Calabria per rifugiarsi altrove, il più lontano possibile dagli spari e dai morti ammazzati. L’opzione della cosca in fuga da quella che è stata una vera e propria mattanza, quasi settecento le vittime, non fu una selezione casuale tra le città del nord Italia, al contrario una vera e propria immigrazione mirata in cerca di protezione. La preferenza ricadde su un comune in provincia di Pavia, conosciuto ai più per la produzione di scarpe, lo scrittore Lucio Mastronardi e la splendida piazza: Vigevano. A questo punto del racconto entra in scena uno dei personaggi principali della storia: il vice questore di Vigevano Giorgio Pedone, autore di diversi rapporti e informative riguardanti i movimenti della criminalità organizzata sul territorio da lui presidiato. Uno dei magistrati che ha portato in carcere con le sue indagini decine di ‘ndranghetisti infiltrati nelle regioni del nord, Ilda Bocassini, intervenuta nel 2011 ad un incontro organizzato presso l’Università di Pavia, disse di lui: «un attento poliziotto del commissariato di Vigevano che in un rapporto di polizia del 1983 dava l’idea di aver già compreso tutto». In uno di questi documenti, ad esempio, Pedone scrisse: «Com’è noto in Vigevano fin dal 1965 si è insediata, fra gli altri nuclei di famiglie provenienti dalla provincia di Reggio Calabria anche quella facente capo a Giovanni Cotroneo, il quale in questi anni ha avuto maniera di consolidare la sua “autorità” attraverso una rete capillare di suoi conterranei venuti dal sud in cerca di lavoro, ma disposti anche a ricambiare un piacere, qualora chi lo chiedeva era in grado di assicurare un minimo di guadagno, protezione e di rispetto». Quasi tutti i calabresi insediatisi a Vigevano prima o poi capitavano da Cotroneo, i Valle non furono da meno. Ciò che distinse il pellegrinaggio dal boss degli onesti immigrati rispetto a quello compiuto dal clan fu notato sin da subito da Pedone il quale, sempre in uno dei suoi report, parlava di protezione garantita ai Valle da eventuali minacce da parte delle cosche nemiche grazie alla presenza in Calabria di Giorgio Cotroneo, fratello di Giovanni. In cambio parte dei capitali dei Valle, accumulati al sud attraverso usura ed estorsione e poi trasferiti al nord, contribuirono a risollevare le attività commerciali di Cotroneo. Fu così che i fuggitivi presero residenza a Vigevano e da quel momento in poi ebbero in mano il mercato criminale dell’usura e dell’estorsione in città e non solo. Dai primi anni Ottanta fino alla metà degli anni Novanta, la tranquilla cittadina del nord fu “sequestrata” dalla cosca che, anche grazie all’omertà più o meno ingenua di istituzioni e cittadini, riuscì a creare un sistema di prestiti, strozzinaggio e taglieggiamento inarrestabile, o quasi. Il 10 gennaio 1992 una delle molte vittime dei Valle sparse tra Vigevano, basso Piemonte e hinterland di Milano, la commerciante Maria Grazia Trotti, subissata dalla richieste di rientro prestito a tassi insostenibili oltre che dalle minacce, decise di rivolgersi alle forze dell’ordine per chiedere aiuto. Il vice questore Pedone era scomparso da pochi mesi, ufficialmente suicidatosi anche se i familiari tutt’oggi avanzano perplessità su questa possibilità. Al suo posto il nuovo dirigente del commissariato vigevanese, Spartaco Mortola, prese la situazione in pugno e attraverso un’operazione di polizia calcolata nei minimi dettagli riuscì ad arrestare il clan. Grazie al coraggio di Maria Grazia, alle inchieste di Pedone e alla prontezza delle forze dell’ordine, i Valle vennero condannati a diversi anni di carcere per i reati di usura. 
A condanne scontante, tuttavia, la cosca ritorna agli onori della cronaca. Il reato è ancora quello di usura ed estorsione ma la situazione è molto più intricata. Nell’ordinanza di applicazione di misura cautelare depositata l’8 giugno 2010 si scopre che dopo aver lasciato Vigevano i Valle si sono trasferiti a Cisliano, in provincia di Milano, dove hanno realizzato il loro quartier generale attorno al ristorante “La Masseria” in cui si organizzavano ricevimenti, matrimoni e banchetti. Si tratta di una struttura con giardino e piscina, sul retro della quale una seconda costruzione, su due livelli, veniva utilizzata come residenza privata da alcuni esponenti del clan, ma soprattutto è qui che aveva sede la Europlay srl una delle principali società della cosca, anche se intestata a prestanome, che si occupava di noleggio e commercio di slot machine. Sono passati pochi anni da quando i Valle hanno lasciato Vigevano a causa delle condanne e delle confische ma in poco tempo sono riusciti a ricostruire un patrimonio ricchissimo e hanno compiuto molta strada in ambito criminale, grazie soprattutto ai legami stretti con la  più potente famiglia dei Lampada. Legami di sangue e di affari, strutturati su matrimoni combinati come quello tra Maria Valle e Francesco Lampada celebrato, come si legge ancora nell’ordinanza sopra citata, nel luglio del 2006 e festeggiato nella prestigiosa villa d’Este di Cernobbio, nel cui albergo si tiene attualmente il workshop Ambrosetti, punto di ritrovo dei massimi vertici della politica, della finanza e dell’industria internazionale. Solo per il pranzo di nozze le famiglie staccano un assegno di 58.000 euro, proventi di vecchio e nuovo business illegale. 

Il 25 giugno del 2010 il gip Giuseppe Gennari firma l’ordinanza di custodia nei confronti delle cosche, gli arrestati fanno quasi tutti parte della famiglia allargata dei Valle. Dopo i fatti di Vigevano e altri reati compiuti nel sud ovest di Milano, la famiglia stava costruendo un nuovo impero criminale in tutta la Lombardia sfruttando un’enorme rete di corruzione e prepotenza, nella quale sono finiti politici, giudici, avvocati ed esponenti della guardia di finanza. Grazie alle inchieste delle forze dell’ordine sono stati fermati poco prima di poter agguantare con i loro tentacoli anche l’esposizione universale Expo 2015. Nelle intercettazioni contenute nell’ordinanza è emerso che i Valle-Lampada erano attivi con piani di costruzione e licenze per aprire attività di ristorazione, discoteche e, ovviamente, un mini casinò a supporto dell’evento internazionale. Oltre trent'anni dopo le informative del poliziotto di Vigevano che “aveva capito tutto”, i Valle sono stati condannati in via definitiva per associazione mafiosa (http://archiviostorico.corriere.it/2014/ottobre/15/Mafia_nel_maxi_processo_clan_co_0_20141015_7172592e-542d-11e4-a5ac-685ccdff5e62.shtml). I giudici della seconda sezione della Cassazione, a fine 2014, non hanno confermato in toto la sentenza d’appello, rinviando a un nuovo giudizio le posizione di Maria Valle e Riccardo Cusenza per il reato di associazione mafiosa. Per il resto della cosca confermate e definitive le condanne fino a 24 anni di carcere. Forse l’ascesa della ‘ndrina sarebbe stata bloccata se Giorgio Pedone fosse stato ascoltato, non è certo un caso che le sue ricerche siano state considerate fonti importanti anche per gli arresti del 2010 eseguiti dalla Dda di Milano contro la cosca reggina. Il problema di fondo, o la morale se preferite, di questa storia è: perché un poliziotto che aveva visto, capito e segnalato tutto non è stato ascoltato? Finché lo Stato continuerà a essere impermeabile agli appelli dei suoi uomini migliori, per questo Paese ci saranno poche speranze di risollevarsi.